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Critica alla mostra di“ARTEMISIA GENTILESCHI Coraggio e passione” a Palazzo Ducale, Genova

Artemisia Gentileschi (Roma 1593 - Napoli 1653) è stata la prima donna ad essere ammessa all’Accademia d’arte e la prima donna ad essersi affermata come artista nel Seicento. Attraverso l’arte, Artemisia ha saputo raccontare la sua forza e il suo coraggio di essere donna e pittrice in un'epoca dominata da uomini. La vita di Artemisia è caratterizzata dal dolore dovuto alla violenza subita nel 1611 per mano di Agostino Tassi, pittore amico del padre Orazio. I dipinti di Artemisia parlano della sua vita, attraverso le cosiddette Femmes Fortes, donne ed eroine della Bibbia e della mitologia classica che irrompono sulla scena con grande forza espressiva, con sguardi e gesti carichi di rabbia, fierezza e dolore. Proprio il dolore che segnò così profondamente la sua vita, fu la chiave del suo riscatto. Consapevole del suo talento, Artemisia vinse il processo contro Agostino Tassi nel 1612, dopo essere stata sottoposta a varie torture e rivendicò la propria figura di artista affermandosi tra le più illusti corti e città d’italia, come Firenze, Venezia e Napoli. Per la prima volta in assoluto, la mostra ospita l’intero fascicolo del’Archivio di Stato di Roma, in cui sono contenute le trascrizioni degli interrogatori ad Artemisia in occasione del processo. Eroina di vita, arte e storia, Artemisia Gentileschi è ancora oggi un modello di donna, che attraverso le sofferenze è stata in grado di plasmare il suo destino lottando per affermare la verità. La mostra Artemisia Gentileschi Coraggio e Passione, celebra una grande pittrice, esempio di tenacia e coraggio che con la sua pittura caravaggesca a metà tra realismo e classicismo ha saputo rivoluzionare un’intera stagione artistica divenendo un’icona della storia dell’arte. Una sezione della mostra è dedicata dunque al caravaggismo a Genova. Nonostante non ci siano testimonianze che accertano la presenza di Artemisia a Genova nel Seicento, alcuni documenti attestano che la sua fama era già arrivata nella Superba, così come probabilmente molte sue opere, grazie ai vari commerci che i mercanti genovesi intrattenevano con le grandi corti d’Europa. Vi sono invece fonti che attestano che il padre Orazio Gentileschi si trovava a Genova tra il 1621 e il 1625, su invito del nobile Giovan Antonio Sauli. I suoi soggetti drammatici e il suo stile estremamente poetico si affermarono affascinando illustri famiglie e influenzando pittori genovesi. Tra i pittori esposti nella sezione dedicata al caravaggismo a Genova, vi sono dunque artisti come Gioacchino Assereto e Bernardino Strozzi con il suo San Giovanni Battista. Il focus sul caravaggismo genovese è dunque una sezione necessaria all’interno della mostra, per comprendere le evoluzioni della pittura audace di Artemisia a Genova. Il grande talento di Artemisia divenne oggetto di desiderio da parte di grandi collezionisti, come il romano Cassiano del Pozzo che nel 1630 fu probabilmente proprio il destinatario di uno dei dipinti che più mi hanno stupito della mostra. Si tratta di Autoritratto in forma di allegoria della Pittura, con un ritratto maschile sul cavalletto realizzato tra il 1630-35 e conservato oggi alle Gallerie Nazionali d’arte antica di Roma. Con questo dipinto ci troviamo in un incontro ravvicinato e intimo con Artemisia, che si volge verso di noi con lo sguardo, come se l’avessimo colta di sorpresa mentre si stava dilettando a dipingere indisturbata. Dall’atmosfera buia infatti emergono il suo sguardo e la sua mano mentre tiene un pennello saldo tra le dita che poggia appena sulla tavola di fronte a lei, un richiamo alla tipica composizione caravaggesca. La scena è sospesa ma la nostra presenza non le impedisce di continuare a dipingere. Tuttavia, Artemisia non ci fa sentire ospiti infiltrati, o indesiderati all’interno di questa scena. Forse non eravamo attesi ma nel momento in cui la pittrice si accorge della nostra presenza, sembra voglia invitarci a soffermarci sulla sua opera, sulla sua grazia e sulla sua tavolozza, caratterizzata da pochi colori, con cui sta probabilmente realizzando un altro dei suoi capolavori, il ritratto di un uomo, che come riportato dalla dettagliata descrizione di Costantino D’Orazio, era probabilmente il suo amante Francesco Maria Maringhi, conosciuto a Firenze e che è stato al suo fianco anche nel periodo in cui Artemisia si trovava a Napoli. Con questo olio su tela, Artemisia torna a sé stessa. Non vi è alcun tentativo di far emergere la sua immagine e grandezza dietro a volti di grandi donne ed eroine del passato. Lei è la grande donna del suo presente, eroina e padrona della sua vita. Il capo è cinto da foglie di alloro, il Laurus, simbolo di sapienza, gloria e immortalità e le vesti sfarzose che indossa sono illuminate da un fermaglio e dall’orecchino di perla che alludono ancora una volta al suo prestigio. Artemisia è consapevole del proprio talento, della propria grandezza come pittrice e dei riconoscimenti che merita. Lo sguardo è austero, la mano salda e decisa. Più che un simbolo o un’allegoria, Artemisia si ritrae con estremo realismo, nei panni della grande pittrice che ormai quarantenne sapeva di essere. La tenacia e la passione di Artemisia le permettono di affermarsi come artista di talento indiscusso, divenendo un modello morale e pittorico per le generazioni future.

Elisa Gennari laureta in Arti Visive - Arts,Museology and Curatorship