EMMA DANTE COME GIOVANNA D’ARCO AL REGIO DI PARMA
Parma - Teatro Regio

EMMA DANTE COME GIOVANNA D’ARCO AL REGIO DI PARMA.
Una regista con la missione di salvare la corona dell’opera lirica.
Sergio Bevilacqua
C’è una prima cifra ben riconoscibile nelle narrazioni della brava regista siciliana
Emma Dante: è quella della sua terra. Terra d’Italia, anche se con tutti i distinguo che
noi italiani abbiamo sempre fatto: italiani sì, ma soprattutto geograficamente, quasi
che, malgrado l’unità geniale e Cavour e i Savoia e Garibaldi, avesse ragione
Klemens von Metternich, per il quale, all’avviarsi delle guerre d’indipedenza, l’Italia
era solo una “espressione geografica”… Riguardo all’italianità, la Sicilia ha prodotto
nella storia figure di grandissima importanza, come ad esempio Federico II, al quale
occorre ancor fare riferimento per ciò che riguarda la cultura, civile e letteraria, del
Belpaese. E non solo quella italiana, visto il ruolo centrale avuto da Stupor Mundi
nella diffusione nell’intera Europa di quel sapere arabo che donò alcune basi
essenziali per lo sviluppo dell’empirismo e poi del metodo scientifico. E come
avvenne? Grazie alla salda alternativa laica da lui creata (1224) alla grande università
religiosa, 140 anni dopo la capostipite bolognese (1088), ove la cultura araba era
bandita. Poeta e letterato lui stesso, ma anche mecenate delle arti e delle lettere, a lui
dobbiamo il vigoroso contributo a un robusto ceppo della lingua italiana, celebrato da
altro Dante, l’Alighieri, nel De vulgari eloquentia, mentre Cielo d’Alcamo
produceva, con preziosa poesia, un’emozionante
«Rosa fresca aulentisima ch’apari inver’la state,
le donne ti disiano, pulzell’ e maritate:
tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate;
per te non ajo abento notte e dia,
penzando pur di voi, madonna mia».
Fragranti rose, dunque, presenti in scena a rallegrare il palcoscenico del teatro Regio
di Parma per questa bella rappresentazione della “Giovanna d’Arco”, 1845, di
Giuseppe Verdi, da Schiller, riletto da Temistocle Solera.
Ecco dunque apparire una tradizione letteraria ancor viva oggi, che fa della Sicilia
una delle aree più ricche di buona produzione letteraria dell’intero Stivale, Pirandello
e Sciascia, Verga e Camilleri, Vittorini e Quasimodo, con il teatro in primo piano e
uno specialissimo teatro di figura, quello dei “pupi” siciliani, anch’essi, liaison
medievale, a fare da suggestione nell’ouverture di quest’opera.
Questo humus è dunque cifra di Emma Dante, ma non è unica. L’altra cifra è in una
sua sintassi registica, in particolare dell’opera lirica, ad esempio in questa verdiana al
Regio, ove la proposta visiva procede con piena drammaturgia di pari passo a quella
musicale e letteraria. La fama della Dante ha rotto gli argini in particolare grazie a
quel classico registico che è divenuta la sua “Cavalleria rusticana”, opera che ha fatto
perdurare la fama del grande Pietro Mascagni fino a noi, malgrado l’oscuramento di
più di mezzo secolo dovuto ai suoi speciali rapporti col Duce. La Dante non è una
“one-opera-woman” (come il livornese, autore di oltre 100 ottimi lavori musicali e di
teatro musicale non è un “one-opera-man”) e ha mostrato le sue grandi qualità di
autonomia creativa facendo arrabbiare Zeffirelli e il loggione della Scala alla Prima
del 2009, in una Carmen molto carnale, eroticamente piuttosto esplicita. Ed era lei ad
aver ragione: occorre infatti prescindere dagli aspetti semiologici, che possono o
meno incontrare gradimento... Se il loro posizionamento nella costruzione scenica
quadra, se il libretto non è violentato, il problema è solo di gusto. Al contrario, la
costruzione registica è oggettiva: non è da tutti la costruzione di un’atmosfera, la
continuità architettonica, l’originalità delle forme visive in ottimo coordinamento tra
loro…
Questo è ciò che allora si è notato in “Giovanna D’Arco” sabato primo febbraio
2025: una grande regista con due grandi cifre, una sua d’origine, la cultura siculo-
italiana, e una cifra scenica acquisita (sopra i suoi studi giuridici) alla scuola di
Tadeusz Kantor, di Gabriele Vacis e altri che l’hanno fatta crescere…
Oltre alla Pulzella d’Orleans, a Parma un’altra donna ha accompagnato il successo
della Dante: è la soprano georgiana Nino Machaidze. Voce potente e bella presenza
scenica, con notevoli doti attoriali oltre che estrema versatilità canora. Un soprano
internazionale, con davanti un luminoso futuro, ben diretta dalla bacchetta di Michele
Gamba.
Il risultato è stato uno spettacolo godibilissimo, che fornisce uno specchio eroico a
queste due donne, Giovanna d’Arco che salva la Francia e il suo re, ed Emma Dante,
che con la cura magistrale del piano visivo dona un esempio del grande allargamento
del target di attenzione oggi possibile per l’opera lirica: lo spettacolo straordinario
non è solo per orecchie propense e smaliziate, ma anche per il piacere degli occhi.
Come Giovanna porta in cielo col suo ardire purissimo lo stemma di Francia e di
Carlo Re, Emma Dante fa parte di quel gruppo di registi che hanno capito
l’importanza odierna del piano visivo, e porta anch’essa nell’empireo un nuovo, più
intenso e più esteso modello di teatro musicale colto, di opera lirica.
Che torna alle origini e alle esperienze equilibrate della prima metà del XIX secolo,
di Donizetti e Bellini, col “recitar” e la drammaturgia teatrale a riconquistare il suo
degno spazio accanto alla musica, al “cantando”, incontrando la ipertrofia visiva delle
nuove generazioni. E tanta bellezza.