IL RITORNO DI NANI TEDESCHI L’ICONOLOGO A sette anni dalla morte la sua nuova vita. A cura di Sergio Bevilacqua
Reggio nell'Emilia e provincia - Reggio Emilia

Era il 2017 quando, nel suo tempio campagnolo di Pratofontana, vicino a Reggio
Emilia, ci lasciava il pittore, disegnatore e iconologo Nani Tedeschi. Oggi, nello
stesso luogo simbolico, la neonata associazione culturale “Baldus 77” ne ha raccolto
l’eredità e ne fa il paladino della sua strategia culturale, popolare e vivace, per la città
emiliana. Reggio è ormai diventata una quasi-metropoli nodo di rete globale, dopo
una mutazione che ricorda quella di Gregorio Samsa ne “Le metamorfosi” di Kafka.
E non è un caso che proprio la casa che fu di Nani Tedeschi sia nell’epicentro di
questa curiosa trasformazione, in mezzo a campi che fino a pochi anni fa erano di
grano e che sono ancora campi, vicino a una zona industriale che produce una buona
parte del prodotto interno lordo di questa provincia, che batte quanto a PIL il 70%
degli Stati del mondo, alla più bella e originale stazione ferroviaria per l’alta velocità
del pianeta, progettata dal bravo architetto ispano-elvetico Santiago Calatrava, a un
nuovo stadio modernissimo, a un’arena per concerti oceanici…
Tutta questa notevole e semplice varietà è infatti propria sia di ciò che è la Nuova
Città di Reggio Emilia, sia dell’emblema Nani Tedeschi. Varietà e semplicità insieme.
Il profilo culturale del simpatico artista reggiano (anzi “…cadelboschese!”, di
Cadelbosco di Sopra, prima cittadina alle porte di Reggio verso Mantova,
preciserebbe di certo lui, tra il serio e il faceto) cha ha fatto mostre in mezzo mondo,
è perfetto per la immagine di questo nuovo popolo reggiano, fatto per quasi metà
ormai di immigrati di tutte le culture, da quelle varie dello Stivale, a quelle africane,
europee dell’Est, asiatiche… Perché? Perché l’arte di Tedeschi è un’arte facile da
riconoscere, basata soprattutto sul disegno, piena di voli di fantasia, aperta ed
empatica: piace a tutti, di tutte le razze, si fa apprezzare per ciò che nella pittura
ancora colpisce i più (il disegno e l’originalità dei soggetti), evita intellettualismi ed
eccessi astratti. Così Nani rimane vicino a persone che sono diventate sempre più
“Foreigners Everywhere”, anche a casa propria, come insegna la 60. Biennale
dell’arte di Venezia da poco conclusasi, e dove, nel lontano 1972, 24 Biennali or
sono, gli cambiò la vita: infatti si rese conto che la sua missione ippocratea (era
medico di professione) si sarebbe svolta meglio sull’anima grazie all’arte, che sul
corpo, grazie alla scienza medica.
Questa simpatia si accende poi di suggestioni fantasiose, e così dal suo “Fojonco”,
animale immaginario molto legato a una versione di vino lambrusco, ci spostiamo per
assonanza a Folengo (Teofilo) e al suo latino-macaronico-dialetto per la mostra
Baldus (titolo del poema epico quasi-comico del mantovano) nel 77 a Mantova,
quattro passi in là rispetto alla piccola Cadelbosco natale.
Ed ecco che si chiude un primo cerchio: l’associazione Baldus 77 ha colpito il segno
scegliendo quel nome. In esso, e nella storia divertentissima di Merlin Cocai, c’è il
vero spirito fanciullesco, colorato e fervido di suggestioni oniriche dell’arte di Nani
Tedeschi. Non hanno sbagliato quindi i fondatori a scegliere questo nome non ovvio e
oscuro ai più. Dentro Baldus (77) c’è quasi tutto ciò che d’importante l’artista
reggiano ha significato, e credo che l’intuito di Francesca Tirelli, figlia del compianto
coltissimo Gianfranco, e di Moreno Ferrari, fresco musicista di ottima levatura, in
questo caso abbiano fatto un centro pienissimo.
I segni per qualcosa di utile e bello per il futuro ci sono tutti. Anche l’idea di partire
dal basso nella celebrazione dell’ispiratore ed emblema Nani Tedeschi, senza gravare
con pesantezze nozionistiche (ma…attenzione ai contenuti!) e cercando la via per
renderlo familiare ai più: è lo stesso senso aperto che riportano gli ampi spazi liberi
presenti nelle sue opere, ed è certo corretto per il nuovo popolo reggiano. Così,
appare precisamente il work-in-progress del documentario sull’artista che è stato
presentato in private-view domenica primo dicembre davanti a pochi intimi, in quello
stesso tempio che ha visto scorrere gli ultimi 25 anni circa della sua vita. Una
semplice, prima apertura audiovisiva di discorso, che deve trovare col tempo e con la
paglia (come per la maturazione delle nespole) una sua ben più ampia fioritura: Nani
è un artista emblematico ed è un perfetto testimonial della nuova realtà reggiana, che
può prosperare grazie alla fantasia, delicata e fruttuosa, di un grande scopritore di
immagini, di un grande iconologo.
Come quando a scuola, alle elementari, la sua maestra, che era mia nonna Lina
Vinsani Bonini, lo lasciava sognare e distrarsi e disegnare, perché aveva capito che
quello che Tedeschi possedeva era un vero talento, inusuale. Lui poi, l’ha sempre
amata per questa sua sensibilità, fino a quando, oltre mezzo secolo di rispetto dopo,
ha deciso di onorarla con un ritratto, che la immortala come viva.
Un regalo anche a me…

Nani Tedeschi a Pratofontana.jpg