La nuova scenografia video e digitale al centro dei principali appuntamenti del festival Verdi
Parma

La kermesse dell’arte umana nota come “Festival Verdi” del Teatro Regio di Parma,
oggi, 2023 alla XXIII edizione, nei due appuntamenti principali, I Lombardi alla
Prima crociata e Il trovatore, nuove produzioni per le regie di Pier Luigi Pizzi e
Davide Livermore, presenta l’esercizio emblematico dei nuovi strumenti scenografici
consentiti dalla tecnologia digitale di oggi.
È dunque d’obbligo una riflessione, scientifica nei limiti di ciò che può la Nuova
Sociologia dell’Arte: è questo caso o necessità storica? Sta cambiando qualcosa di
profondo?
L’uso della proiezione e della tecnologia digitale, con le esperienze di videomapping
che piegano la realtà alle condizioni dell’occhio, come avvenne in modo primitivo nei
decori degli interni fino a tutto l’Ottocento (papier peint, trompe l’oeil, anamorfosi…)
diviene oggi un clamoroso asset per ogni scenografia.
Ed è teatro, quanto mai! Delicata connessione tra occhio e cervello nella finzione del
palcoscenico, con presenze umane che esercitano la loro sistemica complessità
attraverso bit e non joule. Il movimento sulla scena non è più solo fisico, e il suo
effetto digitale è identico o addirittura superiore. Enorme beneficio per la catarsi,
grande opportunità di significazione per eventi immaginari come quelli che sempre
hanno mosso le scene dei teatri, a cavallo della tragedia e della commedia. Fine dei
limiti. I limiti restano solo relativamente geometrici, ampiezza e profondità del
palcoscenico, come già Wagner ci ha insegnato, ma all’interno dei quali c’è tutto lo
spazio antropologico necessario per la proiezione dell’Umano. Ed è il più grande
spettacolo che esista, quello dell’uomo in scena: il teatro con la sua abbondante
cornice di palcoscenico. Il LIVE. Rivoluzionario, a pescare nel profondo dell’uomo,
lì in 500, 1000, 3000, 10000 (come all’Arena di Verona) a misurarsi con il proprio sé
profondo, con l’emozione, con il coinvolgimento mentale e la sua intima e
riservatissima esperienza.
Sarà allora un caso che il più grande dei registi teatrali italiani e oltre, Pier Luigi
Pizzi, dall’alto della sua ben più che senatoriale magistralità abbia affidato al digitale
e alle proiezioni l’animazione del suo bel “Lombardi”? E un caso altrettanto che lo
scatenato Livermore, bell’esempio di ricchezza creativa e bagaglio semiologico,
abbia lavorato nel suo “Trovatore” sugli orizzonti più recenti dell’Arte Digitale per
fare avvenire sensazioni ed emozioni?
Caso, dunque, o necessità?
Cari amici, maneggiare l’opera è sempre mettere le mani nel Parnaso: tutte le Muse ti
guardano e, per l’accesso principale, tutte sono intente a scoprire che cosa verrà loro
richiesto. Apollo, deus ex machina parnassiano, presenta loro Pizzi e Livermore, ed
ecco il Parnaso proiettarsi a Manchester, dove l’Università ha creato il centro più
importante al mondo di arte digitale: molte decine d’insegnamenti prendono per
mano da Mnemosine a Tersicore per vestirle di segni digitali che compongono e
scompongono loro stesse, non solo il senso del Grand-opéra. Punto di non ritorno. E
Apollo lo sa.
Infatti, il festival Verdi 2023 ha accerchiato il Parnaso, attaccando la messinscena
sinestetica con le armi digitali, da ben due parti: quella figurativa e coltissima (il
simbolico di Pizzi) e quella post-figurativa, astratta finanche espressionista, di
Livermore. Apollo ha capito, e ha calato subito i ponti levatoi. Si è visto più bello o,
meglio, ha visto di più del Bello-Oggi: altroché narcisismi, Apollo è Apollo, mica
Narciso, mica figlio di ninfe entreneuse e di volgari divinità fluviali, lui è figlio di
Zeus e ben sa cosa è giusto fare. Come danteschi pellegrini, Pizzi e Livermore
accolgono l’avveduto assist olimpico, e si buttano in un esercizio straordinario: due
regie che, così abbinate, rappresentano un vero colpo da maestro del nuovo
sovrintendente Messi, un colpo da “pallone d’oro” (come il suo omonimo calciatore
argentino) della direzione artistica teatrale. Difficile venire dopo gli scoppiettanti
cartelloni di Anna Maria Meo che, per il bene del teatro, attendiamo a importanti
incarichi futuri. La doppietta scenografica proposta dal primo Festival Verdi del
nuovo sovrintendente e del suo direttore artistico Vlad, ci dice quale sarà
l’orientamento del Regio nei prossimi anni: innovazione creativa, scandaglio di
profondità drammaturgiche, italianità e qualità del prodotto teatrale. Dopo le stagioni
della grande apertura mondiale dalla precedente gestione, si ritorna a lavorare nelle
profondità del prodotto, con erudizione. Così il programma 2024, che prosegue un
fine percorso di studio dell’opera verdiana: dalla monumentalità guerriera e giovanile
di Attila (1846) allo slancio esplicitamente risorgimentale della Battaglia di Legnano
(1849), per arrivare al Verdi sofisticato e internazionale di Un ballo in maschera
(1859) e Macbeth (1847, rev. 1865), quest’ultimo eseguito in francese, come avvenne
alla Prima della revisione parigina.