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PARMA - Il Battistero

PARMA - Il Battistero

Il Battistero di Benedetto Antelami

Primo grande battistero in marmo e in pietra nella romanica Padania, manifestazione di orgoglio cultuale e di coscienza civica come quello di Pisa, questo monumento, niveo “grattacielo” di marmo dedicato alla Vergine e a Giovanni Battista, non dovette avere eguali per secoli.

Il tempio era stato pensato a base ottagona. Il numero otto aveva un valore simbolico: già in san Paolo alludeva alla resurrezione di Cristo (Lettera ai Romani, 4,25). Otto erano i giorni intercorsi tra la nascita e la presentazione di Gesù al Tempio. Era il numero della perfezione e anche il numero dell’equilibrio cosmico, del rapporto tra il quadrato (il terrestre) e il cerchio (l’eterno); indicava l’ottavo giorno della creazione, la nuova creazione che inizia all’atto della resurrezione di Cristo alla quale accede il catecumeno attraverso l’immersione.

Benché iniziato nel 1196, verso la metà del secolo successivo non era ancora consacrato. L’anno della sua fondazione lo si deduce dalla semplice formula matematica che s’accompagna alla firma: enunciata in versi leonini: “Bis Binis demptis de Mille Ducentis / incepit dictus opus hoc scultor Benedictus”.

L’edificio distribuisce su tre dei suoi otto lati altrettanti portali attraverso i quali si accede al suo interno. Sono portali “scavati” in profondo, ornati di colonne snelle, libere nello spazio, collegate in forma autonoma, pensate secondo una formula studiatissima nella successione delle dimensioni, delle sezioni, dei colori, ordinate con sapiente effetto cromatico. L’originale soluzione che appare provenire dalla tradizione del romanico di Provenza è ritenuta da altri esito della evoluzione di formule architettoniche emiliane e quindi collegabile allo sviluppo locale.

Ai lati dei due portali, quello della Vergine a nord, quello del Redentore a occidente, piccole figure muliebri in marmo reggono dei clipei con minuscole erme e indicano come tutto sia improntato a un alto valore simbolico: si tratta delle virtù, quelle teologali, la fede, la speranza, la carità, e quelle cardinali e morali: esse introducono alle immagini raffigurate nelle lunette superiori.

Attorno corre la fascia dello zooforo: una successione di bassorilievi che reca in rassegna animali simbolici e fantasiosi (“una delle più straordinarie enciclopedie zoologico-morali di tutta la scultura medievale”, Le Goff 1993). Veniva a delimitare il perimetro del battistero con un significato etico e allegorico finalizzato al percorso dell’uomo verso la salvezza.

Sopra, le quattro logge architravate si succedono leggere verso il cielo entro la tesa misura dei contrafforti che danno solidità all’ordito architettonico: un esempio di grande architettura, che termina con le arcatelle cieche dell’ultimo registro e con le coperture, opera di maestranze campionesi, capaci di portare a compimento, anche a distanza di tempo, progetti di lungo periodo (tra il 1260-70 e i primi anni del secolo XIV).

I portali sono le aperture attraverso le quali ancora oggi l’edificio sacro si apre alla città, riprese traslate degli archi di trionfo di tradizione romana. Il portale verso la cattedrale celebra il mistero dell’incarnazione.

A sinistra del portale della Vergine, le immagini di Davide e Abacuc (anch’esse ora all’interno nel Museo Diocesano) rinviano al mistero profetico del sacrificio e della resurrezione del Cristo Rector, Signore e Redentore. Qui, Gesù, le mani aperte con le piaghe del martirio, appare circondato dagli angeli che recano i simboli della Passione. Il terzo portale reca sull’architrave Cristo benedicente (“Ego sum alpha et omega”) e ai lati l’Agnello di Dio e Giovanni Battista. Nella lunetta sovrastante, l’autore rinunciava al dettato biblico per narrare una leggenda extratestamentaria resa nota da Giovanni Damasceno e ripresa in parte da Jacopo da Varagine. La leggenda di Josaphat e Barlaam era di origine orientale, desunta da un repertorio di tradizione buddista e cristiana. Essa parla della brevità della vita e dell’imprudenza di chi si abbandona ai piaceri, dimentico del trascorrere del tempo.

Prende rilievo il tema del transito, del passaggio, della conversione.

Accanto ad Antelami operava una vivace officina.

Nei mesi antelamici, oggi verso mattino, sulla balaustra della loggia interna inferiore, l’allegoria dei lavori umani viene trasposta fuori del tempo. Quelle figure furono scolpite entro il secondo decennio del XIII secolo. Ai mesi si erano aggiunte le immagini delle due stagioni (la primavera e l’autunno). Le statue, secondo la consueta successione, dovettero essere disposte dentro al battistero nella prima galleria interna, dalla parte dell’altare, prima dell’opera di decorazione pittorica della cupola.

Con questo ciclo pittorico si apre, dopo quella antelamica, la seconda grande “enciclopedia” presente in questo monumento. Il ciclo di pitture italo-bizantine della cupola è il più esteso nell’Italia padana. L’insieme è connotato dal movimento ascendente delle nervature in pietra di Verona, chiamate a reggere le sedici vele. La narrazione procede dalla fascia più bassa all’attacco della cupola verso la chiave di volta, creando una intersezione tra gli spazi in verticale e in orizzontale della quale l’esito è una impressione di estatico equilibrio. La spinta ascensionale della volta viene ostacolata dalla resistenza orizzontale e circolare degli affreschi.

I dipinti sono il risultato di una unica campagna pittorica, realizzata a secco con economia di tempo e – per l’occasione – anche di mano d’opera e di denaro. Il pensiero unitario che essi esprimono viene svolto all’interno di sei cerchi concentrici e di sedici sezioni verticali (storie di Abramo; vita di Giovanni Battista; i dodici profeti; i dodici apostoli e gli evangelisti). Al centro un cielo diafano, fatto di stelle, e un motivo a greca separano dalla “candida rosa”; l’insieme si manifesta come un’epifania celeste. Per quel che riguarda i lavori di costruzione dell’edificio sacro risulta significativo il loro difficoltoso procedere, come riferito dal cronista Salimbene (che ebbe a spendervi parte delle memorie familiari), sino alla consacrazione del tempio avvenuta nel 1270.

Le note interruzioni nei rifornimenti di marmi a seguito delle guerre di Ezzelino da Romano furono una delle cause del rallentamento dei lavori in un edificio che comunque già nel 1216 conobbe una sua prima apertura con la somministrazione dei sacramenti.

Ripresi i lavori nel corso del quarto decennio, si poteva pervenire alla copertura e alla realizzazione della decorazione nella cupola prima della metà del secolo (esisteva una decorazione pittorica, intravedibile in alcune absidiole della fascia a piano terreno).

È agli inizi del XIV secolo che si provvede a dotare anche le pareti della fascia inferiore di una decorazione ad affresco che rappresenta una antologia della pittura emiliano-lombarda del periodo.

I dipinti della fascia sottostante sono “una grande antologia della pittura trecentesca padana” (Quintavalle). Il battistero avrebbe partecipato da vicino alla storia della città. Per tutto il medioevo sarebbe stato il luogo simbolico del rapporto tra cultura religiosa e tradizione civile in una città in profonda trasformazione.

(F.B.)

I testi sono tratti da: Per antichi cammini. Il Medioevo a Parma e provincia. Milano, Silvana Editoriale, 2003

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