Cosa significa "Capannone" in parmigiano

Ancora oggi, nel gergo parmigiano, il termine “capannone” è sinonimo di rozzo, plebeo e in tanti lo usano per definire quegli individui che fuoriescono dall’etichetta dei modi urbani, civili, borghesi. Taluni, viceversa, lo usano per dirsi orgogliosi di appartenere alle classi popolari, per rivendicare la propria opposizione alle dinamiche della società benestante e perbenista, per manifestare sfrontatamente un linguaggio e una gestualità al limite del volgare.
Tutti lo usano ma pochi, soprattutto tra i più giovani, sanno quale sia la sua origine, intimamente legata a una storia specifica di Parma, al ribellismo delle sue classi popolari, allo sventramento dell’Oltretorrente da parte del regime fascista, all’allontanamento di molte famiglie in caseggiati ultrapopolari in zone fuori dal centro urbano: i “capannoni” appunto.
“Capannoni” in cui, per molto tempo, sono regnati miseria e degrado e che la “Parmabene” ha frequentemente guardato con sospetto e disprezzo: talvolta, infatti, per poter campare i loro abitanti si sono industriati in vario modo e spesso l’illegalità comune si è intrecciata con forme di sovversivismo politico.
Costruiti tra il 1928 e il 1934, i “capannoni” furono poi abbattuti dalle amministrazioni democratiche nel secondo dopoguerra, tra la fine degli anni cinquanta e il 1970 quando, alle numerose famiglie che affollavano la Navetta, il Cornocchio, il Cristo, il Paullo o il Castelletto, furono assegnati nuove e più dignitose case popolari.
Foto "Capannoni" via Navetta